Contro la guerra. Riflessioni su una Niobe a Gaza

L'Istituto Comprensivo G.M. Gisellu promuove la non-violenza

Avatar utente

Marina Cei

Dirigente Scolastico

Nella striscia di Gaza, nel 2015, una porta di metallo di quel che restava di una casa dopo i bombardamenti del 2014 era stata dipinta con l’immagine di una donna. Era opera dell’inafferrabile artista di strada Bansky, che tra quelle rovine aveva dipinto Niobe come simbolo del dolore.
Niobe è una figura della mitologia greca, punita da Apollo e Artemide per la sua superbia. Si era infatti vantata di essere superiore alla loro madre Leto, per aver generato sette figli e sette figlie. E così i due fratelli divini glieli avevano uccisi tutti, l’uno dopo l’altra. A Niobe non restavano che lo strazio e la supplica a Zeus perché la pietrificasse e ponesse fine al suo dolore. Ma il suo pianto così si eternò nella roccia come emblema di imperitura sofferenza.
Nell’apprendere pochi giorni fa la storia della dottoressa palestinese Alaa al-Najjar che ha perso nove dei suoi dieci figli nei bombardamenti su Gaza, come non ripensare a Niobe e all’opera di Bansky? Alaa al-Najjar è una Niobe dei giorni nostri che immaginiamo vivere la stessa devastante lacerazione della Niobe antica, quel dolore comune a tutte le figlie di Eva dinnanzi alla morte dei figli. Ma, come la Niobe di Bansky, ella è una Niobe innocente, perché davanti a tanto strazio non può riconoscersi colpe. China il capo e si chiude in sé, come il Pensatore di Rodin, e medita sulle miserie del mondo. Non sono stati gli dei, non c’è qui alcuna legge di necessità cui gli antichi Greci attribuivano un senso nella punizione della tracotanza. I colpevoli sono solo gli uomini del nostro tempo, quelli nelle carlinghe dalle ali maligne, dentro i carri di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura… per fare eco alla nota poesia di Quasimodo, così significativa e vera. Sono stati gli uomini che, pur essendo scintilla d’infinito, volgono la propria mente solo al male e seminano odio e distruzione con il loro folle gioco della guerra.
Davvero misero è il mondo che lascia spazio alle bombe portatrici di devastazione; misero l’uomo che piega il suo intelletto verso azioni malvagie e studia strumenti di morte per annientare i suoi simili; misero l’uomo che non comprende che l’odio chiama odio e che la pace si costruisce nel vivere quotidiano riconoscendo la dignità degli altri.
Ogni giorno i media ci mostrano bombardamenti, missili, droni armati, macerie, morti, una Terra ferita dove non crescono fiori, ma si ammassano la polvere e i frantumi di edifici crollati. L’Ucraina e la Striscia di Gaza stanno sotto i riflettori di continuo, ma sono cinquantasei i conflitti attualmente attivi nel mondo a comporre quella che papa Francesco definiva la terza guerra mondiale a pezzetti. E sono conflitti spesso dimenticati o ignorati benché identico sia il dolore in chi cade e in chi resta.
Forse l’essenza del conflitto, della violenza, della guerra risponde davvero a una dura legge di necessità, legata a un innegabile istinto aggressivo di certi uomini, che appena hanno un po’ di potere passano dal litigio con il vicino più prossimo, all’attacco armato verso altri popoli, trovando ragioni che certo mai corrispondono alla brutale sproporzione di una guerra.
Ma è orribile pensare che ai bambini possano essere negati i diritti, la sicurezza, la gioia o che, peggio, sui bambini si riversino violenza e morte. Nessuna madre dovrebbe piangere i figli, certo mai per atti di violenza. Non dovrebbero esistere macerie in cui un artista senta di raffigurare Niobe, pensando alle madri che versano lacrime sui figli perduti.
Noi uomini comuni non abbiamo la forza di impedire le guerre, ma ciascuno di noi può fare la sua parte per il presente e per il futuro. A scuola possiamo seminare fiducia e coltivare sentimenti positivi, educare all’ascolto e al riconoscimento dei diritti e della libertà altrui, insegnare a non giudicare, ma a mettersi sempre nelle vesti dell’altro. A scuola possiamo coltivare la non-violenza e condannare ogni forma di sopruso e sopraffazione, spiegando che solo la tolleranza assicura la convivenza pacifica e che la diversità è ricchezza e non minaccia. Possiamo parlare del mondo reale e raccontare dei rischi che attanagliano il presente, non per alimentare schieramenti e dividere in modo manicheo i buoni dai cattivi, ma per chiarire che anche nel grande e complesso ciclo della storia sono le singole azioni che possono fare la differenza e che gli atti di pace stanno nelle piccole cose.

Il nostro Istituto Comprensivo vuole oggi ricordare l’articolo 11 della Costituzione:

“LItalia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

Lo teniamo fisso nella mente, perché espressione di principi e valori testimoniati dai padri costituenti che uscivano dalla guerra, comprendendone a fondo la tragedia.

Anche noi ripudiamo la guerra, compartecipiamo al dolore dei civili barbaramente uccisi e dei soldati mandati a morire e non ci stanchiamo di insegnare questo alle giovani generazioni: che la pace non può che nascere dalla giustizia, dall’equilibrio e dal pieno riconoscimento del valore dell’altro.

Esprimiamo solidarietà per le vittime di tutte le guerre e ci auguriamo non ci siano più macerie dove dipingere simboli del dolore.

Dorgali, 31 maggio 2025

La preside
Prof.ssa Marina Cei

Documenti

Circolari, notizie, eventi correlati